Analisi real-world della epidemiologia e della gestione terapeutica dei pazienti affetti da fibrosi polmonare idiopatica in un contesto di pratica clinica italiana
La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è spesso diagnosticata tardivamente, con conseguente ritardo nell’inizio di terapie in grado di rallentare la progressione di malattia e il declino della funzione polmonare. Lo studio, condotto in un setting di reale pratica clinica italiana, ha valutato l’impatto dell’intervallo diagnostico di IPF sul burden clinico ed economico della patologia, focalizzandosi su epidemiologia, pattern terapeutico, cause di ospedalizzazione e consumi sanitari (prestazioni specialistiche pre- e post-diagnosi). È stata eseguita un’analisi retrospettiva sui database amministrativi di un campione di enti sanitari per circa 4,7 milioni di assistiti. Da gennaio 2017 a giugno 2020, sono stati inclusi i pazienti che presentavano per IPF: ≥1 diagnosi di dimissione ospedaliera e/o ≥1 prescrizione dei farmaci indicati (pirfenidone e nintedanib) e/o codice di esenzione attivo. La data-indice corrispondeva al momento del riscontro di uno dei criteri. L’intervallo diagnostico è stato definito come il tempo dalla manifestazione dei primi sintomi (utilizzando come proxy visita pneumologica, esami strumentali/radiologici e uso di broncodilatatori/corticosteroidi per via inalatoria) alla diagnosi di IPF. L’analisi dei consumi ha considerato le prestazioni specialistiche ambulatoriali nel periodo precedente la diagnosi e nel follow-up (solo pazienti vivi). Nel campione, sono stati identificati 859 pazienti con IPF con età media 72,3 anni, 67,3% di sesso maschile, prevalenza 23,1/100.000 e incidenza 6,1/100.000 (anno 2019). Nei 684 pazienti con un sintomo nei 2 anni precedenti la diagnosi, l’intervallo diagnostico stimato era di 16,5 mesi; nei 682 pazienti con un sintomo nei 5 anni precedenti la diagnosi, tale intervallo era 42,0 mesi. Le prestazioni più frequenti erano le visite pneumologiche sia prima (73,9%) sia dopo (66,9%) la data-indice, seguite da test strumentali e radiologici. I presenti dati rea-world confermano come l’intervallo diagnostico nella IPF resti ancora un problema su cui porre l’attenzione, per le importanti ricadute sull’outcome clinico dei pazienti.